La fiera della Madonna dei Martiri non è tra le sagre
paesane più antiche della nostra terra, infatti precedenti alla nostra vi erano
quella di Santa Maria dello Sterpeto di Barletta risalente al 1259 e di quella
di San Leo di Bitonto ricordata persino nel Decamerone di Boccaccio.
La nostra
fiera settembrina come è risaputo risale grazie all’autorizzazione al 24 aprile del 1399 per concessione di re Ladislao d’Angiò-Durazzo.
Secondo la
bolla reale essa poteva svolgersi dall’8 settembre al 15 settembre sia dentro
che fuori le mura cittadine. Si svolgeva, quindi, nel centro cittadino ovvero in
via Piazza e al di là del fossato e lungo le mura cittadine ed in luoghi
vicini.
Uno di questi era largo Porticella dove aveva luogo la fiera del
bestiame. Si commerciavano ovini,
bovini, equini, animali da cortile; di particolare pregio vi era la
compravendita di equini di razza Schiavonia o i ciuchini della Dalmazia.
Inoltre, rispecchiando quella che era la civiltà contadina del tempo, si
potevano acquistare carri, aratri, scale, trespoli, arnesi da lavoro, funi e
finimenti oltre che oggetti di legno e di metallo, mobilia, giocattoli, stoffe
e tele.
Vi erano inoltre anche bancarelle che vendevano alimenti, come succede
oggi, saltimbanchi, cantastorie, giocolieri e zingare.
L’illuminazione per la
festa nella città era costituita da torce e falò che si accendevano per la
strada a rischiarare l’aria festosa, queste sostituite dalla seconda metà
dell’ottocento da lampanini ad olio e nel novecento dalle luci multicolori
elettrici. Ai colpi di cannone a salve poi furono sostituiti i fuochi
pirotecnici che facevano da cornice all’area di festa che si respirava.
A cura di Sisto Massimiliano.
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