mercoledì 31 ottobre 2018

La festa di Halloween tra storia e tradizione.



L’origine storica della festa di Halloween ha radici arcane infatti questa trova fondamento nella festa romana dedicata a Pomona dea dei frutti e dei semi, secondo altri invece le radici sono da riscoprire nella festa dei morti chiamata Parentalia. 
Ad ogni modo la festa di Halloween ha superato i secoli e i millenni, infatti molto più semplicemente le sue radici risalgono al fatto che la notte tra il 31 ottobre ed il 1 novembre anticamente terminava l’anno e ne iniziava uno nuovo. 
Poi con Gregorio IV fu istituzionalizzata la festa di Ognissanti che in un certo senso dava continuità al clima di festa che nel corso del tempo si era sempre espletato.
La storia anglosassone di Halloween invece trova le sue radici nella storia di Jack O Lantern un fabbro molto avvezzo alla dissolutezza e a fare ogni sorta di malversazione.
Si narra che una sera in taverna, proprio la notte del 31 ottobre avesse bevuto col diavolo e che strinse con lui un patto che di fatto non mantenne. 
Infatti al primo incontro chiese al diavolo di trasformarsi nell’ultimo soldo per bere una ultima volta prima che gli fosse portata via l’anima, e il diavolo acconsentì ma l’astuto Jake prese la moneta ed anzicche’ ordinare da bere la mise in un borsellino con una croce di argento di modo da non poter far si che il diavolo potesse trasformarsi, solo dopo molte insistenze da parte di Lucifero, Jack lo lasciò andare ma con la promessa che la sua anima sarebbe stata presa dal diavolo dopo 10 anni. 
E puntuale si ripresentò dopo dieci anni, ma lo scaltro Jack chiese al diavolo di prendere una mela e di assaporarla, mentre quegli stava cogliendo la mela incise sul tronco dell’albero una croce facendo retrocedere il diavolo che desistette dal prendergli l’anima. 
Jack visse molti anni durante i quali fece molte nefandezze, e giunse anche per lui il giorno della morte, ovviamente non entrò in Paradiso e fu rimandato all’inferno; ma il diavolo ricordandosi del torto che gli fece non ne volle sapere di accoglierlo tra i dannati e quindi lo mandò via, intimandogli di sparire nel buio della notte, ma Jack chiese che per vedere gli fosse fornita una lucerna e il diavolo gli calciò un tizzone ardente. 

Si narra quindi che nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre proprio Jack in cerca della casa vaghi senza pace portando come lanterna una zucca con dentro il tizzone consegnato dal demonio.
A cura di Sisto Massimiliano

martedì 30 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: Diceria o verità?


Tra le prescrizioni cui i nostri nonni ci mettevano in guardia, vi era quella sicuramente di non fare gesti inconsulti o strani di fronte allo specchio.

Invero nella tradizione lo specchio è visto come simbolo di riflessione della realta' che avvicina il soggetto all'oggetto per raccontare l'umana verità, o come lo intendono gli scintoisti esso è parificato a un sacro oggetto di culto.

Ma nella nostra tradizione contadina e più limitata rispetto alle riflessioni filosofiche dei grandi pensieri religiosi, lo specchio da sempre e' stato associato all'esoterismo a qualcosa di non meglio definito.

I nostri nonni tra le varie raccomandazioni ci dicevano, appunto, di non sbeffeggiarsi o motteggiarsi perché nello specchio, proprio in quella immagine riflessa vi si nascondeva "la Morte" o addirittura Satana il quale si bea della umana vanità.

Proprio la vanità uno dei sette peccati capitali lo rende forte e invulnerabile nella sua opera di divisione, non a caso quando un moribondo è di fronte allo specchio lo si copre con un lenzuolo o stessa cosa capita per un feretro proprio per evitare che il Demonio possa impossessarsi della sua anima.

A tal proposito vi racconto una storia, vera, forse condita con un po' di suggestione del tempo ma comunque successa sul finire dell'ottocento primi del novecento, nella parte monumentale del nostro Cimitero cittadino vi è una tomba di una ragazza.

Al tempo, ella era molto piacente tanto che si specchiava sempre, e proprio lo specchio fu cagione della sua morte perché mentre era intenta ad imbellettarsi e a contemplarsi, ecco comparire una immagine demoniaca di lei dallo specchio.

La poverina non resse a tale impatto e con tale allucinazione paranormale  morì, la ritrovarono con gli occhi sgranati per lo spavento e per gli spasmi del colpo apoplettico che tale visione le aveva inflitto.

I parenti per rendere monito a tutti fecero scolpire questa storia sulla lapide della giovane donna ad imperitura memoria attraverso una scultura marmorea, propria dei tumuli della seconda metà dell'ottocento al fine di spiegare come fosse avvenuta la dipartita della giovane.

Verità, diceria? chi può dirlo.

A cura di Sisto Massimiliano

lunedì 29 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: Una tradizione scomparasa, il posto dei defunti.



Anticamente i nostri avi, ritenevano che tra il primo e il due novembre le anime dei morti andassero in processione per andare a trovare i propri parenti. 

Così in quella notte per compiacere le loro anime preparavano un pasto con pane, piatto e posate oltre a un bicchiere di vino con accanto un lumicino a petrolio, per far si che l'anima dello spirito si ristorasse e che capisse che il suo ricordo non fosse caduto nell'oblio.

A cura di Sisto Massimiliano

domenica 28 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: La leggenda del contadino molfettese



Siamo nell'ottocento, si narrava che un contadino blasfemo e senza ritegno osò sbeffeggiare la processione delle anime e con fare tronfio disse agli avventori della taverna dove era solito sostare che la processione delle anime non fosse vera e che lui avrebbe sfatato questa storia. 
Così la notte tra il 1 e il 2 novembre volle andare al cimitero per rendicolizzarne il mito, ma il giorno seguente all’apertura del cimitero lo ritrovarono lungo la strada che portava alla chiesa di Santa Margherita con la testa fracassata e gli occhi fuori dalle orbite. 
Verità o suggestione?
A cura di Sisto Massimiliano.

sabato 27 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: Leggenda molfettese, l'anima dell'amica.



La leggenda parla di una donna di umili condizioni che ebbe in sogno la visita di una sua conoscente morta in miseria. 

Ella era così povera che la seppellirono con un umile saio senza essere vestita. Quindi apparve in sogno all'amica chiedendole di comperare una camicia per far si che non sfigurasse durante la processione delle anime, indicandole il luogo dove gliela avrebbe dovuta far trovare con la promessa della restituzione al termine della festività. 

Svegliatasi andò a vendere l'unico oggetto di valore che aveva ossia un anellino d'oro, acquistò la camicia per la amica e la pose dove le aveva indicato ovvero sotto l'acquasantiera della chiesa di Santa Margherita qui, nel momento del sanctus comparve una nuvola e la camicia sparì.

Il giorno dopo l'amica tornò come da istrizuioni impartitele la notte prima dalla defunta, e stesso prodigio, al momento del sanctus la camicia ricomparve sempre dopo che la nuvola fumosa si era formata. 

L'amica vivente riprese la camicia e notò che era sporca di fango, quindi corse a casa e serrò porte e finestre.

In sogno poi vide sempre la Chiesa di Santa Margherita ma questa volta eterea senza pareti e con bellissimi campi di gigli in fiore, si avvicinò allora l'amica defunta e le disse di non preoccuparsi più di nulla adesso perché era con lei in Paradiso. 

Giorni dopo i vicini non vedendo più la donna chiamarono la pubblica autorità per abbattere la porta e quando entrarono trovarono il corpo senza vita incorrotto e senza segni di putrefazione e notarono che nell'unico vaso ivi presente era sorto un giglio color oro che emanava un forte profumo.

A cura di Sisto Massimiliano

venerdì 26 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: La processione delle anime.




Si narrava nell'ottocento che alla mezzanotte del 1°novembre vicino alla Chiesa di Santa Margherita avveniva un fatto inspiegabile: la processione delle anime.
 Qui scesa la notte dalle tombe le anime dei defunti ivi inumati nel vicino cimitero si sarebbero riunite nella chiesetta e da li avrebbero dato inizio a una mistica e lenta processione che le avrebbe portate dopo la messa, che veniva da loro officiata in quel vetusto tempietto a compiere un pellegrinaggio in città per andare a trovare i propri cari ancora in vita.
Durante la processione si sentivano nella città dormiente canti penitenziali, chi fosse stato sveglio aveva l'obbligo di non vedere l'anime altrimenti queste se lo sarebbero portati via con loro. 
Dopo il giro cittadino prima dell'alba le anime dei defunti sarebbero tornate nel cimitero e rientrate nei loculi dove ore prima erano uscite.

A cura di Sisto Massimiliano.

giovedì 25 ottobre 2018

Racconti dell'orrore molfettesi: La Chiesa di Santa Margherita di Sculcula e l'attuale Cimitero




La chiesa di Santa Margherita distava circa un chilometro in linea d'aria dalla Basilica della Madonna dei Martiri e quando con l'editto napoleonico che decretava che le inumazioni non potevano più farsi nelle chiese, venne scelta quella zona come luogo di sepoltura cittadino.

Esso era un luogo ben lontano dal centro abitato quindi idoneo per questa attività di pietà popolare.

La chiesa di Santa Maria fu costruita nel 1195 ed era una piccola chiesa rurale cui adiacente vi era un campanile che risuonava come le altre chiese l'avemaria e il compieta per quelle povere anime ivi tumulate.

La cappella fu usata come chiesa cimiteriale sino alla costruzione dell'attuale tempio ovvero fino al 1895 quando venne sconsacrata. 


Dal 1925 fu adibita a capanno degli attrezzi e definitivamente demolita nella prima metà del secolo scorso.

L'unico reperto che segna l'esistenza di questa cappella è l'architrave custodito nel Museo Diocesano dove è scolpita la dicitura: "Soli Deo ed Honor ed Gloria" (a Dio Onore e Gloria).
A cura di Sisto Massimiliano

mercoledì 24 ottobre 2018

Giovanni XXIII°: "Questa è la carezza del Papa"


“Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato.


Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: ‘Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà’.


Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo.


Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la ‘Roma caput mundi’, la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli. 


La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… 


Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… 


Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. 


Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza…

E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli.

Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”.

A cura di Sisto Massimiliano.

lunedì 22 ottobre 2018

Un uomo venuto da lontano: Giovanni Paolo II°.


Karol Józef Wojtyła, divenuto una volta salito al soglio pontificio sotto il nome di Giovanni Paolo II dopo la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920. Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che lui nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a 9 anni ricevette la Prima Comunione e a 18 anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.

Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino. 
Dopo la guerra, continuò i suoi studi teologici nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946, per le mani dell’Arcivescovo Sapieha.

Successivamente fu inviato a Roma, dove, sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: "Valutazione della possibilità di fondare un'etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler". Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
 Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.

 Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967.
 Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978, prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come Vescovo di Roma, ha visitato 317 parrocchie (su un totale di 333).

Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio e i Responsabili delle Nazioni: alle Udienze Generali del mercoledì (1166 nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose [più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000], nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le 19 edizioni della GMG che si sono tenute nel corso del suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle Famiglie da lui iniziati a partire dal 1994.

Giovanni Paolo II ha promosso con successo il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi. 
Sotto la sua guida la Chiesa si è avvicinata al terzo millennio e ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Essa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, nella quale si mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.
Con l’Anno della Redenzione, l’Anno Mariano e l’Anno dell’Eucaristia, Giovanni Paolo II ha promosso il rinnovamento spirituale della Chiesa.
Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare innumerevoli esempi della santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo: ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha proclamato Dottore della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino.
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone 231 in 9 Concistori (più 1 in pectore, che però non è stato pubblicato prima della sua morte). Ha convocato anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.

Ha presieduto 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998  e 1999).
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
Ha promulgato il Catechismo della Chiesa cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Ha riformato i Codici di diritto Canonico Occidentale e Orientale, ha creato nuove Istituzioni e riordinato la Curia Romana.
A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche 5 libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004) e “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.

Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le Esequie del defunto Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alla salma del Papa, attendendo in fila anche fino a 24 ore per poter accedere alla Basilica di San Pietro.
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della Causa di beatificazione e canonizzazione di Giovanni Paolo II. La Causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale per la diocesi di Roma. Postulatore della causa è stato monsignor Slawomir Oder.
Il 2 aprile 2007 a due anni dalla morte, nella basilica di San Giovanni in Laterano in Roma, il cardinale Camillo Ruini ha dichiarato conclusa la prima fase diocesana del processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, consegnando le risultanze alla Congregazione per le Cause dei Santi.
Tale atto è avvenuto attraverso un iter giuridico-procedurale durante il quale sono stati letti in latino i verbali per il passaggio dei documenti, i quali riguardano la deposizione di 130 testimoni a favore e contro la beatificazione, nonché le conclusioni di teologi e storici al riguardo.
Al 1º aprile 2009 le segnalazioni di presunti miracoli al vaglio della Congregazione per le Cause dei Santi erano 251. Il 19 dicembre 2009 con un decreto firmato da papa Benedetto XVI che ne attesta le virtù eroiche, è stato proclamato venerabile.

Il 14 gennaio 2011 Benedetto XVI ha promulgato il decreto che attribuisce un miracolo all'intercessione di Giovanni Paolo II. Secondo quanto riportato dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, si tratta della guarigione dal morbo di Parkinson (lo stesso di cui ha sofferto Giovanni Paolo II) della religiosa francese suor Marie Simon-Pierre (delle Piccole Suore delle Maternità Cattoliche, nata nel 1961). La malattia le era stata diagnosticata nel 2001. Secondo la testimonianza della religiosa, la guarigione per intercessione del pontefice è avvenuta la sera del 2 giugno 2005, quando aveva 44 anni.
La nuova tomba di Giovanni Paolo II nella cappella di San Sebastiano della Basilica di San Pietro. 
La cerimonia di beatificazione ha avuto luogo in piazza San Pietro il 1º maggio 2011 (Domenica della Divina Misericordia) ed è stata presieduta dal papa suo successore, Benedetto XVI. Alla cerimonia erano presenti circa un milione e mezzo di fedeli, provenienti da tutto il mondo, tra cui moltissimi polacchi. Un lunghissimo applauso ha salutato l'immagine del beato Giovanni Paolo II mentre veniva scoperta dal balcone della Loggia delle benedizioni della basilica Vaticana. Circa 90 sono state le delegazioni internazionali che hanno presenziato alla cerimonia. Il feretro del Papa, riesumato per l'occasione (ma mantenuto sigillato) il 29 aprile, dalle Grotte Vaticane è stato nuovamente esposto presso l'altare della Confessione di San Pietro, ricevendo l'omaggio ininterrotto dei pellegrini sino al 2 maggio, quando è stato tumulato, in forma privata, presso la cappella di San Sebastiano nella basilica petrina.

Giovanni Paolo II è stato canonizzato, insieme a Giovanni XXIII, da papa Francesco, ma era presente anche il papa emerito Benedetto XVI, il 27 aprile 2014 avvenuta come per la beatificazione nel giorno della festa della Divina Misericordia.
Alla cerimonia ha partecipato in piazza San Pietro più di un milione di fedeli, per la maggior parte polacchi, mentre sono state stimate in due miliardi le persone pronte a seguire l'evento, trasmesso in mondovisione.
Oltre a maxischermi posti in chiese e piazze in tutto il pianeta, per la prima volta nella storia un evento è stato trasmesso in diretta 3D in più di 500 cinema in 20 paesi del mondo .

Ai fini della canonizzazione la Chiesa ha ritenuto miracolosa la guarigione di Floribeth Mora Díaz, nata il 19 giugno 1963 a San José, in Costa Rica. La mattina dell'8 aprile 2011 la donna si era svegliata con un forte mal di testa, perdurando il quale era stata sottoposta a un'angiografia, che aveva rivelato la rottura di un aneurisma cerebrale con conseguente emorragia subaracnoidea, non operabile nelle strutture mediche locali.

Rimandata a casa senza speranza di guarire, il 1º maggio, mentre seguiva in televisione la cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, iniziata alle 10, quando in Costa Rica erano le 2, gli chiese di intercedere per la sua guarigione poi, dopo aver assistito a tutta la trasmissione, si addormentò. La mattina seguente, dopo il risveglio, riferì di aver sentito interiormente la voce del papa, da poco beato, che la invitava ad alzarsi dal letto: non provava più alcun disturbo, e due risonanze magnetiche, l'11 novembre 2011 e il 16 maggio 2012, confermarono la scomparsa dell'aneurisma.
A cura di Sisto Massimiliano



domenica 21 ottobre 2018

Cronaca di una storia: l'intorciata ai Santi Medici e Martiri Cosma e Damiano a Bitonto.





Bitonto, che possiede le reliquie delle braccia dei santi, soprattutto, attira fedeli da tutta Italia per la solenne processione che si tiene la terza domenica di ottobre. 


Ogni anno la città di Bitonto festeggia i santi Medici e Martiri Cosma e Damiano due volte: la prima coincide con la solennità liturgica latina che si celebra il 26 settembre e nei giorni precedenti i fedeli partecipano alle celebrazioni liturgiche con inni, canti, preghiere e novene, la seconda, definita esterna, fu fissata nella terza domenica di ottobre dalla Curia Vescovile di Bitonto nel 1733  ad opera del parroco don Giuseppe Carlo Minnuto.

Questa data tra l'altro permetteva alle popolazioni rurali di portare a termine tutte le attività legate alla campagna vinicola e di potersi ristorare con la festa prima di quella olivicola.



 La festa esterna è basata su due eventi essenziali, la così chiamata “Nottata” e la processione detta "Intorciata".

Durante la processione alle donne è affidato il compito di recitare preghiere e canti avvolti da un suono lamentoso, come fossero delle preghiere che nascevano dal dolore, dalla richiesta di aiuto nei confronti dei santi. 


I pellegrini la notte precedente alla processione, come ogni anno fa, giungono a Bitonto da località limitrofe a piedi, generalmente scalzi, o con carri, recitando preghiere e inneggiando canti.
A cura di Sisto Massimiliano

sabato 20 ottobre 2018

Fratelli nella fede e nel martirio: i Santi Campioni Cosma e Damiano.



Le brevi notizie storiche che li riguardano risultano dai “Martirologi” e “Sinassari” antichi testi liturgici che riportano il resoconto della vita dei Santi e dei Martiri dei secoli antichi. 
Il principale biografo dei Santi Cosma e Damiano fu il dotto Vescovo Teodoretto, che resse dall’anno 440 al 458 la città episcopale di Ciro, importante centro della Siria. 
Qui fu eretta a questi due santi la prima chiesa votiva. I santi Cosma e Damiano, orginari dell’Arabia, erano fratelli. Secondo certe fonti, non ritenute storicamente attendibili, erano gemelli.
Nacquero nella seconda metà del III secolo da genitori cristiani. A impartire loro la prima educazione alla fede dovette incaricarsi la madre, di nome Toedota, poiché il padre morì presto, durante la persecuzione della Cilicia. 

Dalla città natale per ragioni di studio furono inviati in Siria, dove appresero le scienze, specializzandosi in medicina. Si distinguevano per la solerte e benefica operosità verso i malati, con predilizione per i più poveri e gli abbandonati. 
La tradizione riferisce anche che curavano i malati senza mai chiedere una retribuzione. Ciò valse loro l’appellativo di “Santi Anargiri”, con cui passarono alla storia. La loro fama di uomini coraggiosi, di insigni benefattori, si sparse rapidamente in tutta la regione. L’attività di questi santi non si ridusse alla sola cura dei corpi. 
Nel loro esercizio professionale miravano anche al bene delle anime con l’esempio e la parola. Riuscirono a convertire al cristianesimo molti pagani. I santi Cosma e Damiano si imposero risolutamente una scelta di vita controcorrente rispetto al paganesimo imperante. Nell’Impero Romano, particolarmente nelle regioni orientali dove il cristianesimo si era propagato con più successo tra il 286 e il 305 d.c. sotto l’impero di Massimiano e di Diocleziano scoppiarono le persecuzioni. 

Le maggiori repressioni avvenivano nell’esercito, principalmente a causa del rifiuto da parte dei cristiani della milizia, oltre che delle cerimonie pagane e del culto dell’imperatore. In esecuzione dell’editto del 23 febbraio 303, i Santi Medici furono arrestati con l’accusa di perturbare l’ordine pubblico e di professare una fede religiosa vietata. Il loro processo si svolse al cospetto di Lisia, prefetto romano competente per il territorio della Cilicia. 
Minacciati da torture e di condanna alla pena capitale, si tentò in tutte le maniere di farli apostatare. I santi invece, risposero così ai loro persecutori: “Noi adoriamo solo il vero Dio e seguiamo il nostro unico Maestro Gesù Cristo”. 

Questa eroica resistenza servì di incoraggiamento per gli altri cristiani più titubanti e pavidi, anch’essi sottoposti al grave dilemma: abiurare, per aver salva la vita; o perseverare nella professione della fede e patire carcere, torture e morte seguendo Cristo sulla via della Croce. 
Dopo l’arresto e il processo i santi furono sottoposti a una serie di crudeli torture, nella vana speranza di farli recedere dal loro fermo proposito. Come primo castigo fu inflitta loro la fustigazione. 
Poiché i carnefici non ottennero di farli apostatare, legati mani e piedi furono gettati in mare da un alto burrone con un grosso macigno appeso al collo, per facilitarne lo sprofondamento. Miracolosamente i legacci si sciolsero e i santi fratelli riaffiorarono in superficie sani e salvi, accolti a riva da uno stuolo di fedeli festanti, ringraziando Dio per lo straordinario evento. 

Nuovamente arrestati, subirono altre dolorosissime prove. Condotti davanti a una fornace ardente, furono immersi nel fuoco legati con robuste catene. Le fiamme però non consumarono quelle membra sante, che uscirono ancora una volta indenni e fu tale il timore dei soldati che li avevano in custodia, da costringerli a fuggire precipitosamente. 
Il libro del “Martirologio” che ispira al citato Teodoreto ci informa che i santi Cosma e Damiano furono martiri cinque volte. Passarono infatti per le prove dell’annegamento, della fornace ardente, della lapidazione, della flagellazione per finire i loro giorni col martirio nell’anno 303 attraverso decapitazione.
A cura di Massimiliano Sisto.

venerdì 19 ottobre 2018

Le reliquie della Passione tra fede e storia: la Vera Croce.



La reliquia della Vera Croce fu ritrovata dalla madre di Costantino I, sant’Elena nel viaggio da lei fatto in Terra Santa tra il 327/328 d.c. 
Il segno della Crocifissione è la pena inflitta al Cristo dai Giudei nel Sinedrio e il Vangelo di san Giovanni così racconta: (Giovanni 19, 1-18) “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo.” 
Storicamente la reliquia fu scomposta in tre parti di cui una restò a Gerusalemme dove vi rimase sino alla conquista di Saladino, una parte fu portata a Roma e l’altra fu portata a Costantinopoli.
E' poco valida la sua autenticità da parte degli storici, perché sia negli annali della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme che nelle trattazioni storiche dell’epoca si è sempre parlato dei luoghi della Passione di Nostro Signore ma mai della presenza della Vera Croce. 

In Italia diversi santuari e chiese hanno frammenti staccati dalla Vera Croce la parte più importante la si trova a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. 
In Puglia invece un frammento staccato direttamente da essa e storicamente comprovato come autentico lo si ritrova nella Basilica Pontificia Chiesa Matrice dei Santi Medici e Martiri Cosma e Damiano di Alberobello.
Anche nelle processioni quaresimali molfettesi è presente un frammento della Santa Croce in preziosi reliquiari posti ai piedi del Simulacro del Cristo Morto durante la Processione del Venerdì Santo e sulle croci tra la sindone che affianca e che è posta alla spalle rispettivamente della Madonna Addolorata e del Gruppo della Pietà nelle processioni del Venerdì di Passione e del Sabato Santo.
A cura di Massimiliano Sisto.
   



giovedì 18 ottobre 2018

Le reliquie della Passione tra storia e fede: la Sacra Tovaglia.



Nella Cattedrale di Santa María de la Asunción a Coria in Spagna si trova una delle reliquie di particolare importanza nella preparazione al mistero della morte e resurrezione del Signore ovvero la Sacra Tovaglia su cui Gesù consumò l’Ultima Cena. 
San Luca nel suo Vangelo descrive così la fase di preparazione dell’Ultima Cena (Luca 22, 7-13) “Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua». Gli chiesero: «Dove vuoi che prepariamo?». Ed egli rispose loro: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: "Il Maestro ti dice: Dov'è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate». Essi andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.”.
 L’Ultima Cena fu consumata da Gesù con gli apostoli nel Cenacolo nella zona del Monte Sion a Gerusalemme, per gli ebrei del tempo era  di obbligo mangiare la Pasqua con due lunghe tovaglie una che era normalmente base dell’altra e che aveva colori neutri tipo il bianco e l’altra adornata con fantasie rituali intessute. 

Orbene la Sacra Tovaglia è una reliquia che risale al primo secolo dopo Cristo ed ha la medesima lunghezza della Sindone di Torino. 
Pertanto la Sindone di Torino potrebbe essere la prima tovaglia usata nella cena, presa da Giuseppe di Arimatea per poter seppellire Gesù data l’incombenza dello Shabbat e quindi del poco tempo che aveva a disposizione per preparare il corpo.
 Inoltre ha la stessa fattura del telo sindonico oltre che i pollini tipici della Palestina ma questa è una ipotesi trattata dallo studioso statunitense  John Jackson.  
A cura di Sisto Massimiliano.

mercoledì 17 ottobre 2018

Le reliquie della Passione tra fede e storia: Il Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo.




La reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù è conservata nella Basilica di Sant’Andrea in Mantova. 

Nei vangeli il sangue di Gesù sulla Croce è menzionato da tutti e quattro gli evangelisti, san Giovanni recita (19, 33-37) “Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.”.

Questa importantissima reliquia è stata portata, secondo la tradizione, direttamente dal centurione romano Longino che trafisse il costato di Gesù. 

Anche a Potenza nella Chiesa di Santa Maria del Sepolcro vi è la reliquia del Preziosissimo Sangue del Signore con anche una zolla di terra dove questi, sul Golgota, è stato versato. 

Altri luoghi dove sono custodite altre reliquie del Preziosissimo Sangue di Gesù sono: Ferrara, Crema, Terni, Sarzana, Weingarten, Bruges e Fécamp.
A cura di Sisto Massimiliano.

martedì 16 ottobre 2018

Le reliquie della Passione tra fede e storia: la Sacra Tunica.


 
Tunica di Argentuille

Tra le reliquie che propriamente appartengono alla tradizione cristiana vi sono quelle di inerenti i momenti della Passione di Cristo. In questo ci aiutano i Vangeli in cui viene trattato in modo specifico gli ultimi momenti della vita terrena del Salvatore. Infatti importanza notevole ha la tunica di cui era vestito il Cristo.
 Nel Vangelo di Giovanni si legge: “I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato. Presero anche la tunica, che era senza cuciture, tessuta per intero dall’alto in basso. Dissero dunque tra di loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi»; affinché si adempisse la Scrittura che dice: «Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato a sorte la mia tunica». Questo fecero dunque i soldati” (Gv 19, 23-24).
Questa reliquia importante per la cristianità ha fatto la sua comparsa nell’Alto Medioevo ma di fatto è molto controversa la sua storia o meglio sono controverse le reliquie della Sacra Tunica. 
Precisiamo che ai tempi di Gesù e secondo l’uso ebraico il vestimento di una persona non popolana come di fatto era il Cristo era composto da 3 indumenti: interula o subucula che fungeva da sottoveste, la tunica che era quella che era cinta da una cintura alla vita e lunga sino alle caviglie e il pallium o toga che era un vero e proprio mantello. 
Pertanto oggi si conoscono due Tuniche aventi dimensioni quasi identiche e che portano anche misure compatibili con questa moda dell’epoca. Infatti per la tunica di Treviri è una tunica non rovinata in una unica cucitura e non sporca di sangue mentre quella di Argentuil è sporca di sangue.
La Tunica di Treviri si annovera tra quelle che furono le reliquie portate da Sant’Elena in ritorno dalla Terra Santa e fu portata a Treviri e custodita nella attuale Cattedrale perché all’epoca essa era la Capitale dell’Impero Romano d’Occidente dove Elena e il figlio vissero, inoltre l’attuale cattedrale fu costruita sul palazzo imperiale romano.
Mentre la Tunica di Argentuil fa la sua comparsa con l’offerta fatta da Re Carlo Magno a sua figlia Teodorada che era Badessa nel Monastero dell’Humilité-de-Notre-Dame di Argenteuil. Entrambe le tuniche comunque ricordano i colori che san Marco specifica nel suo Vangelo oltre al fatto che le differenze di larghezza e grandezza portano a concordare nel fatto che l’una potesse essere posta sull’altra nel vestimento secondo gli usi dell’epoca, infatti la Tunica di Treviri è più ampia: è lunga 1,47 m davanti e 1,57 m dietro e la sua larghezza sotto le braccia è di 1,09 m; quella di Argenteuil invece è lunga 1,22 m e ha una larghezza sotto le braccia di 0,90 m - anche se, secondo la descrizione del secolo XVIII, doveva esser un po’ più alta di 25 cm e la maniche intere avere una lunghezza di 80 cm. 
Altra differenza della tunica di Treviri è quella che è di lino o di cotone, mentre quella di Argenteuil è di lana. Infine, non presenta macchie di sangue al contrario di quella di Argenteuil. Uno degli aspetti interessanti è inoltre che quella di Treviri fu ricucita nel 1512 su una stola dell’epoca, quando si dissotterrò il cofanetto contenente la reliquia mentre quella di Argentuil è integra e non è stata rimaneggiata sebbene vi siano stati asportati dei pezzi per conservarli e dispensarli in vari santuari della cristianità.
Tunica di Treviri

Come già affermato la tunica di Treviri quindi non presenta tracce ematiche differentemente da quella di Argentuil la cui particolarità di queste tracce portano tutte a farla coincidere con quelle presenti con la Sacra Sindone o con altre reliquie attribuite alla vita terrena di Gesù. In questo breve articolo, non si possono elencare tutti gli studi scientifici eseguiti e i risultati ottenuti. Però, si può citare per esempio lo studio della stoffa (è di origine orientale) e del suo colore (è colorata con un coloro rosso, chiamato anche la «porpora del povero»); delle macchie di sangue (che corrispondono a quella della Sindone) e dei globuli rossi (che presentano una forma anomala, sia sferica che appiattita, indice di una sofferenza cellulare intensa provocata da un’anemia e da una disidratazione, e che si sono svuotati dalla loro emoglobina); del gruppo sanguigno (gruppo Ab) e del Dna (maschile, la cui formula cromosomica corrisponde a quella di un uomo semita non arabo); della presenza di cristalli di urea (componente importante del sudore); della presenza di piattole (dovute alla sua ultima notte che ha trascorso in carcere); dei pollini (di cui alcuni provengono dal Medio Oriente e due dalla Palestina biblica) e di altre polveri (alcune delle quali rinvenute identiche sulla Sindone). 

L’attuale sacra tunica di Treviri è formata da diversi strati di tessuti destinati a proteggere la tunica originale posta al loro interno, ben sette strati, cinque dell’anno 1512 e due di fine XIX secolo (1890) e precisa l’Arcidiocesi di Treviri che “I brandelli di stoffa della parte anteriore della tunica consistono oggi, visti dall’interno all’esterno, in un satin serico di un tulle brunastro e di un grigio taffetà. 
Questo taffetà si aggiunge ad uno strato di antichi frammenti di stoffa, che sono fra loro collegati da un supporto elastico. La parte della tunica consiste in satin serico rossobruno, tulle brunastro, fini garze in seta, un feltro, taffetà verde, un ulteriore strato di feltro e garza serica. Di qui si deduce, che le fibre di lana, che oggi costituiscono il feltro, in parte connettendolo in parte strappandolo, rappresentano il nucleo del tessuto, la cui età non può più essere ben determinata”.
A cura di Sisto Massimiliano