domenica 30 settembre 2018

I segni della Passione tra fede e storia: La Sacra Corona di Spine.



Altra reliquia relativa alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo è quella della Sacra Corona di Spine indicata nei quattro Vangeli sinottici come motivo di scherno da parte dei soldati romani che avevano in custodia la persona di Gesù. 
Il Vangelo di San Giovanni recita (Giovanni 19, 1-2): “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora.” 
Anche questa reliquia al pari delle altre fu ritrovata dallo sgombro delle macerie del Golgota per ordine di Sant’Elena madre di Costantino. La reliquia comunque compare in modo certo nel 1063 quando fu portata a Costantinopoli dove vi rimase sino al 1237 quando il re Baldovino II° la cedette per un prestito a dei mercanti veneziani.

 Allo scadere del prestito re Baldovino chiese a re Luigi IX di Francia di acquistare tale reliquia riscattando il prestito. Il re francese acconsentì portandola a Parigi dove restò nel Palazzo Reale sino alla fine della costruzione della Sainte Chapelle nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi avvenuta nel 1248. 
Parte del tesoro della Sainte Chapelle fu depredato nel periodo della Rivoluzione Francese e non ebbe sorte migliore neanche la Sacra Corona la quale fu spogliata degli ori che la contenevano. Ad oggi del presunto rovo posto sul capo di Gesù non resta che la base, mentre i rami e le spine che rendevano questo un vero e proprio casco furono nel corso dei secoli furono ceduti per benemerenza a santuari e chiese in tutto l’occidente cristiano oltre che consegnate a regnanti cattolici in visita al re francese. 
La presenza delle Sacre Spine è abbastanza nutrita in tutta l'Italia da nord a sud, nella nostra Puglia tre sono i luoghi che conservano questa venerabile reliquia: la Cattedrale di Andria e la Basilica di San Nicola in Bari e nella Chiesa di San Gaetano a Barletta. 
Sacra Spina di Andria
La Sacra Spina di Barletta fu condotta in città da San Felice di Valois in occasione della fondazione dell’Ordine della Santissima Trinità che operò in Barletta per il riscatto dei cristiani tenuti prigionieri nelle carceri mussulmane, accanto all’ordine cavalleresco si costituì una confraternita che ancora oggi propugna il culto della Sacra Spina: l’Arciconfraternita della Santissima Trinità.
Sacra Spina di Barletta
La Sacra Spina di Andria fu donata da Beatrice figlia di Carlo II d’Angiò alla Cattedrale di Andria dove ancora oggi è conservata. Una particolarità di questo venerabile segno della Passione di Cristo è quello che quando coincide il giorno del Venerdì Santo con quello dell’Annunciazione si sviluppano fenomeni incredibili, tutti minuziosamente studiati da commissioni scientifiche che ancora oggi non sono riusciti a dare una spiegazione.
 Infatti la Sacra Spina o presenta rigonfiamenti a modo di gemma, o stilla del sangue oppure si creano macchie rosse sulla superficie della stessa. Questi eventi si sono documentati nel corso della storia sin dal 1633 e anche ai nostri giorni tali prodigi si sono verificati non ultimo la creazione di gemme avvenuta sotto agli occhi degli scienziati e documentati da un video il 25 marzo del 2016 quando vi fu la coincidenza dei giorni che segnano l’inizio e la fine della vita terrena di Gesù appunto l’Annunciazione e il Venerdì Santo.
Sacra Spina di Bari
La Sacra Spina della Basilica di Bari fu donata all’episcopio custode delle reliquie di San Nicola da Myra da Carlo II d’Angiò e posta in un reliquiario preziosamente adornato nel 1301, anche per questa reliquia si ascrivono fenomeni incredibili, proprio come avviene per quella di Andria, quando coincide il giorno dell’Annunciazione con quello della morte di Nostro Signore ovvero il Venerdì Santo la punta della spina si arrossa.
A cura di Sisto Massimiliano.

sabato 29 settembre 2018

Le reliquie della Passione tra storia e fede: la Sacra Colonna.



Nel capitolo 19 versetto 1 del Vangelo di Giovanni si legge: “Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.” 
Proprio la reliquia inerente la colonna dove Gesù presumibilmente fu flagellato è quella di cui voglio parlare:  è quella che si trova nella Basilica di Santa Prassede a Roma al Rione Monti, fu portata dal Cardinale Giovanni Colonna come bottino della sesta crociata il 1 febbraio 1223 e posta nel sacello di San Zenone sino al 1699 per poi essere spostata sempre in Santa Prassede ma nell’attuale ubicazione. 
Si tratta di una colonna alta circa 63 centimetri e con un diametro del fusto variabile: infatti alla base misura 40 centimetri e alla sommità 20, ma nel punto più stretto è di soli 13 centimetri. 
Della colonna la cui veridicità storica è ancora da dimostrare, ne parlano i quattro vangeli sinottici, essa era presente anche nella Casa di Caifa che era il Sommo Sacerdote del Tempio di Gerusalemme e quindi in realtà non si sa se Gesù subì una prima flagellazione prima del processo fatto in casa di Caifa e successivamente quella indicata dalle scritture. 

Indipendentemente da questo, è da notare che la colonna inizia a configurarsi come reliquia a partire dall’Alto Medioevo, quando iniziarono a circolare frammenti della colonna in tutta Europa, fatto questo che portò a sviluppare il movimento dei Flagellanti in tutto l’Occidente cattolico.
La colonna in questione è quella presente nella Casa di Caifa e non già quella del Sinedrio romano ovvero quella usata prima della condanna di Gesù. 
Nell'interno della Basilica di Santa Prassede La Sacra Colonna della flagellazione di Gesù è conservata all'interno di una edicola-reliquiario in bronzo realizzata nel 1898 su disegno di Duilio Cambellotti.


A cura di Sisto Massimiliano.

venerdì 28 settembre 2018

Le reliquie della Passione tra storia e fede: la Basilica del Santo Sepolcro e il Fuoco Santo.



La Basilica del Santo Sepolcro è una basilica cristiana che racchiude il monte Golgota dove avvenne la crocifissione, il Sepolcro di Cristo e la pietra dove venne preparato il corpo di Gesù per la sepoltura. 

La sua costruzione avvenne dopo che sant’Elena nel viaggio da lei fatto a Gerusalemme trovò, facendo spostare delle macerie le reliquie riguardanti la Crocefissione di Gesù. 
Sin dalle cronache di Socrate Scolastico che da quelle di Eusebio da Cesarea si ritrae che i cristiani di Gerusalemme venerassero quel luogo, anche dopo la costruzione del Tempio di Adriano. 
La chiesa fu iniziata ad essere costruita nel 335 d.C.. Da numerosi studi condotti da eminenti professori si ritiene che il luogo dove oggi sorge la basilica possa essere presumibilmente quello della crocifissione perché esso era comunque posto al di fuori delle mura cittadine di Gerusalemme ai tempi del Cristo.

 La storia della Basilica è molto travagliata perché la prima chiesa venne distrutta a seguito di una rivolta che gli ebrei perpetrarono contro i romani e questi ultimi rasero al suolo Gerusalemme e nei siti dove sorgevano i templi sacri ad ebrei e ai cristiani l’imperatore ordinò che venissero eretti templi pagani. 
Nel Concilio di Nicea il vescovo Macario chiese a  Costantino la demolizione dei templi pagani e di poter riedificare la Chiesa, permesso che ottenne e durante lo scavo Elena madre di Costantino ritrovò le reliquie della Santa Croce ed altri segni della Passione di Gesù. 
Così Costantino volle una grande Basilica che racchiudesse i luoghi simboli della Passione e Morte del Signore. La chiesa fu inaugurata il giorno della Esaltazione della Santa Croce nel 335. Nel 614 l’edificio fu danneggiato a seguito della avanzata araba e la Santa Croce cadde in mano mussulmana. 

Nel 630 fu riedificata a seguito della presa da parte dell’esercito bizantino della Città Santa, la Santa Croce venne portata a Costantinopoli.
 Ma nel 638 cadde nuovamente sotto il controllo mussulmano, allora il Patriarca di Gerusalemme Sofronio prima dell’ingresso nella città del Califfo Omar chiese attraverso una lettera a lui indirizzata di non uccidere i cristiani e lasciarli professare la propria religione e che i luoghi santi venissero mantenuti come luoghi di culto cristiani. E così avvenne. 
La seconda chiesa fu distrutta a seguito di un terremoto nel 746, il restauro avvenne nell’810 ma ecco che nel 966 un incendio bruciò le volte e le porte della chiesa. 
Nel 1009 il Califfo Hakim bi-Amr Allah, decise di distruggere completamente la chiesa dalle fondamenta ma nel 1048 ci fu un accordo con il Califfo e l’imperatore Costantino IX grazie al quale furono erette delle piccole cappelle in prossimità dei luoghi di memoria mentre nel XII secolo venne ricostruita la basilica a seguito della presa da parte dei Crociati dei luoghi santi diventando dopo la costruzione sede del Patriarcato latino. 

La città e la chiesa poi ripassarono sotto il controllo mussulmano per poi sotto Federico II di Svevia ritornare cristiane e ripassare nel 1244 in mano mussulmana. 
I francescani cui fu affidata al Custodia del luogo santo la restaurarono nel 1555 ma un nuovo incendio nel 1808 danneggiò la struttura provocando il crollo della cupola interna, un nuovo incendio divampò nel 1840 e solo nel 1959 fu restaurata mentre nel 1994/1997 avvenne il restauro della cupola. 
Nel 1847 Papa Pio IX ricostituì il Patriarcato latino in Gerusalemme eleggendo la Basilica del santo Sepolcro come Basilica Patriarcale cui il Patriarca latino aveva la cattedra. Ma nel 1852 per decreto ottomano venne riconosciuto ai Greci – ortodossi i diritti sulla chiesa e questi elessero a loro volta sede Patriarcato ortodosso cui il Patriarca pose la propria cattedra spodestando di fatto i cattolici.


 Questo editto chiamato Statu Quo fu posto in essere per evitare gli scontri diretti tra cattolici e ortodossi ma anche per consentire ad altre chiese di poter ivi celebrare. Inoltre per evitare scontri tra le fazioni cristiane con editto del Califfo Saladino la chiave della chiesa fu consegnata a due famiglie mussulmane Nusayba e Ghudayya, in quanto neutrali, sono custodi della chiave dell'unico portone di ingresso, sul quale nessuna Chiesa ha diritto, sin dal 1182. 

A sottolineare lo status quo vi è la cosidetta scala inamovibile, che è una scala in legno lasciata da un muratore il giorno dell’entrata in vigore dello Statu Quo. 
Uno degli eventi eccezionali che avviene il giorno del Sabato Santo nella celebrazione di Pasqua officiata dal Patriarca Ortodosso di Gerusalemme è quello del Fuoco Santo, un fuoco che non brucia chi lo tocca, questo evento miracoloso dura per 30 minuti, e si accende all’interno del Sepolcro inspiegabilmente, questo evento si è verificato sin dai tempi delle Crociate.

 E’ un Mistero oltre che un miracolo sconosciuto e poco pubblicizzato nella Chiesa latina occidentale.
A cura di Sisto Massimiliano

giovedì 27 settembre 2018



Il Volto Santo, si trova nella Basilica del Volto Santo a Manoppello in provincia di Perugia (PE), si tratta di un velo tenue che ritrae l'immagine di un volto, un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande, dalla tradizione ritenuto essere quello di Cristo. 
I fili orizzontali del telo sono ondeggianti e di semplice struttura; l'ordito e la trama, visibili ad occhio nudo, si intrecciano a formare una normale tessitura. 
Le misure del panno sono 0,17 x 0,24 m. La reliquia giunse a Manoppello nel 1506, esso da sempre è stato considerato il sudario della Veronica su cui venne impressa lungo la Via Dolorosa il volto del Cristo. 
Nel Vangelo di Luca si fa un riferimento indiretto quando si parla delle pie donne che accompagnavano Gesù, si battevano il petto, e tra queste vi era, secondo la tradizione, la Veronica. La figura della Veronica è presente nei Vangeli apocrifi e più direttamente negli Atti di Pilato al capitolo 7. 
Ella secondo la tradizione sarebbe la emoroissa che avrebbe toccato il lembo delle vesti di Gesù tra la folla e questi sentendosi tirare, la guardò negli occhi rimettendole i suoi peccati e al contempo guarendola dalla sua malattia. 
Tornando al Sacro Volto, l’arrivo nel paese di Manoppello  fu dovuto essenzialmente “al furto” del Velo della Veronica custodito nella preesistente Basilica Vaticana in Roma dove fu rubata contestualmente al progetto della costruzione della nuova. 
Infatti i Papi per finanziare la sua costruzione vendettero parte delle reliquie e oggetti sacri oltre a lucrare sulle indulgenze, cosa che fece tra l’altro indignare Lutero portando poi alla Riforma Protestante. 
Qui ininterrottamente comunque si venera questa straordinaria reliquia che da molti, anche dai più scettici è ritenuta autentica ed inoltre è stato stabilito che l'immagine, secondo una tradizione, sarebbe "acheropita" cioè "non disegnata o dipinta da mano umana" ed ha una caratteristica particolare: è ben visibile da ambedue le parti. 
Tanto che la scienza, secondo illustri docenti universitari tra cui il professor Donato Vittore dell'Università di Bari, che ha eseguito nel 1997 un esame con i raggi ultravioletti, risulta che le fibre del Velo non presentano nessun tipo di colore, il che collima con le osservazioni microscopiche (le quali affermano che questa reliquia non è né dipinta né tessuta con fibre colorate). 
Con elaborate tecniche fotografiche di ingrandimento digitale è possibile constatare come l'immagine sia identica in entrambi i lati del velo. Altre analisi, però, hanno dato risultati diversi.
Il professor Giulio Fanti, dell'Università di Padova, che ha studiato il velo nel 2001, ha rivelato che «al microscopio ottico appaiono sostanze di apporto colorate in vari particolari anatomici». 
Fanti resta però incline a credere che l'immagine sia comunque acheropita. Inoltre il sacerdote Enrico Sammarco e suor Blandina Paschalis Schlömer hanno effettuato alcune indagini sul telo dalle quali emergerebbe che le dimensioni del volto presente sulla Sindone di Torino sono le stesse del Volto Santo di Manoppello. 
Risulterebbe inoltre che il volto della Sindone di Torino e quello che appare nel Velo di Manoppello sono sovrapponibili, con l'unica differenza che nella reliquia di Manoppello la bocca e gli occhi sono aperti.
A cura di Sisto Massimiliano.


mercoledì 26 settembre 2018

Le reliquie della Passione tra fede e storia: Il Sudario di Oviedo.



Un’altra delle reliquie importanti della Passione di Gesù Cristo è quello inerente al Sacro Sudario di Oviedo. 

La reliquia in questione sarebbe da intendersi quella indicata dall’Evangelista Giovanni quando narra: (Giovanni 19, 38-42)“Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.”ed ancora nella parte del Vangelo inerente la resurrezione scrive: (Giovanni 20, 1-8) “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.  Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.” 
Quindi la presenza dei teli e del sudario è indicata esplicitamente nella Sacra Scrittura in modo più o meno dettagliato, ma ciò non toglie che i 4 vangeli concordano unanimemente sulla presenza degli stessi.
Orbene la reliquia in questione secondo la tradizione fu conservata in Gerusalemme sino all’anno 614 periodo della invasione araba, e per evitare che se ne impossessassero gli infedeli venne costruita una arca in legno che via terra servì per il trasporto lungo le coste dell’Africa occidentale.
Giunse quindi, in Spagna e restò a Toledo sino alla presa della città da parte dei mussulmani quindi fu trasferita nella Cattedrale di Oviedo sin dalla prima metà dell’anno 800. 
Il sudario secondo la tradizione sarebbe quello che avvolse il capo di Gesù nei momenti immediatamente successivi la sua deposizione e le macchie di sangue e siero ivi presenti attestano che è stato posto sul corpo di una persona che ha subito atroci sofferenze. 
Indipendentemente dalla sua o meno autenticità che è confutata da studi fatti con il carbonio C14 che datano la reliquia intorno all’anno 700 quindi compatibilmente con la presenza della stessa prima a Toledo e poi a Oviedo, la scienza ufficiale crede che sia un falso. 
Di contro a questa accezione esistono tante altre prove che ne attestano la autenticità di fede tipo la perfetta aderenza con l’immagine sindonica, con la presenza di pollini provenienti dalla Palestina e del nord Africa (ciò supporterebbe la tesi dell’arrivo in Spagna), oltre che le tracce ematiche.
Gli studi su di essa comunque hanno stabilito che: le ricerche del Centro spagnolo di sindonologia, le macchie sul sudario sono di sangue e liquido di edema polmonare, prodottesi in diversi momenti successivi mentre il telo era avvolto sulla testa di un cadavere; secondo questa tesi inizialmente il corpo era in posizione verticale con il capo reclinato 70 gradi in avanti e 20 gradi verso destra.

 Successivamente il cadavere fu spostato a formare un angolo di 115 gradi, con la fronte appoggiata contro una superficie dura. 
Infine fu disteso supino, dopo di che il sudario venne rimosso dalla testa. Secondo gli studi del sindonologo Pierluigi Baima Bollone il sangue risulterebbe di gruppo AB, pollini presenti sul telo e avrebbe riconosciuto specie caratteristiche della Palestina e del Nord Africa, il che confermerebbe il viaggio del sudario indicato dalla tradizione; sono assenti invece specie caratteristiche del resto d'Europa e della Turchia ed infine si evince che la struttura tessile del sudario e rilevato che le fibre sono state filate a mano con torcitura "Z", mentre la trama del tessuto è ortogonale. 
Per entrambe le reliquie, il sangue sarebbe stato identificato come umano e di gruppo AB. Inoltre, secondo Giulio Ricci, la forma delle macchie sul sudario presenta una compatibilità "molto buona" con l'immagine del volto impresso sulla Sindone e numerosi dettagli coincidono. 
Dello stesso parere è Alan Whanger che avrebbe contato oltre cento punti di congruenza tra le due figure. In particolare nel sudario di Oviedo c'è una macchia morfologicamente simile a quella che nella Sindone di Torino, sembra causata da una ferita nel costato destro. 

La macchia di sangue è circondata da un alone di fluido cadaverico, compatibile con liquido pericardico e pleurico. Lo studio svolto dall'anatomopatologo Alfonso Sánchez Hermosilla dell'Istituto di medicina legale dell'Università Cattolica di Murcia localizza fra la quarta e la quinta costola la ferita che ha causato il versamento.
 Come nel caso della Sindone la ferita non è verticale ma orizzontale e il gruppo sanguigno è confermato di tipo AB. Le caratteristiche antropometriche indicano la compatibilità con la ferita causata da un colpo di lancia a un corpo crocifisso.



A cura di Sisto Massimiliano. 

martedì 25 settembre 2018

Le reliquie della Passione tra storia e fede: Il Santo Calice.



Una reliquia che ha da sempre affascinato il mondo degli storici, religiosi e anche di coloro che svolgono pratiche legate all’occultismo, è quella del Santo Graal. 
Il Santo Graal compare nei dettati evangelici quando Gesù consuma l’Ultima Cena, ed in particolare san Luca scrive: (Luca, 22, 14-18) “Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”.” 
Il calice quindi identificato con il nome di Santo Graal è quello quindi usato da Gesù nell’Ultima Cena di cui ne fanno menzione i vangeli sinottici. 

Il termine Santo Graal deriva dal francese antico indicante una coppa o un piatto e probabilmente deriva dal latino medievale gradalis, con il significato di "piatto", o dal greco κρατήρ (kratḗr "vaso"). 
Legato al Calice dell’Ultima Cena si è scritto molto, e molti identificano il termine Santo Graal con l’etimologia francese di “Sang real”secondo cui questo oggetto fu usato da Giuseppe di Arimatea per conservare gocce di sangue stillanti dalla ferita al costato di Gesù durante la preparazione del corpo.
Il calice poi sarebbe arrivato sulle coste provenzane con una imbarcazione secondo la quale avrebbe portato Maria Maddalena e le altre donne con i seguaci di Gesù che sarebbero scappate da Gerusalemme dopo i fatti accaduti il venerdì prima della pasqua ebraica. 

Ovviamente questa ricostruzione vorrebbe che la Maddalena avrebbe avuto un figlio da Gesù che avrebbe poi costituito l’inizio della discendenza dei carolingi, da qui l'identificazione di sangue reale.
Ma ovviamente storicamente non ci sono prove ma sono solo miti che si sono sviluppati nel tempo per dare maggior vigore al controllo e prestigio dei re carolingi sul loro regno. 
Storicamente, invece sono comparsi diversi calici, tutti di fattura medievale di cui la chiesa non ha espresso parere positivo per la venerazione, tranne che per uno quello di Valencia. 
La Sacra coppa di Valencia è oggi l’unica reliquia di cui la Chiesa Cattolica non abbia mai dubitato sulla veridicità ritenendola  venerabile. 

Il calice ipoteticamente utilizzato da Cristo sarebbe una delle tre parti ovvero quella superiore che attualmente è custodita nella cattedrale della città spagnola. 
La coppa è sorretta da una struttura-montatura di oreficeria, con due manici, di epoca medievale, la coppa si presenta realizzata con agata cornalina orientale di 9,5 cm di diametro e 7 cm di altezza, datata fra i secoli II e I a.C. proveniente da Antiochia (Siria) o Alessandria (Egitto). 
Infine vi è un nodo d’oro che lega i manici alla coppa con un ornamento sulla montatura, decorata con pietre preziose e perle. 
Si narra che sia stata portata a Roma da Pietro e Marco;  questo calice sarebbe stato usato per celebrare l’Eucaristia sino a Papa Sisto II, a supporto di codesta tesi vi è quella del canone della celebrazione eucaristica intonata dai papi coevi a Sisto II,  diversa sia da quello orientale che da quello occidentale, infatti recitava: ‘Dopo la cena, prese questo glorioso calice’ (hunc praeclarum calicem); mentre le formule orientali e occidentali recitano: ‘Prese il calice’. 

Questa differenza nella formula fa supporre che all’epoca i papi sapevano che si trattasse dello stesso calice usato da Gesù. 
A seguito delle persecuzioni romane imposte dall’Imperatore Valeriano, Papa Sisto II lo consegnò al diacono Lorenzo di  Huesca il quale lo nascose in un monastero sui Pirenei dove fu conservato in segreto sino alla cacciata mussulmana e quindi poi dall’anno XI dopo la Reconquista spagnola, il calice fa la sua ricomparsa e di qui la storiografia è pressoché’ certa.
A cura di Sisto Massimiliano 

lunedì 24 settembre 2018

Le reliquie della Passione tra storia e fede: I Sacri chiodi della Crocifissione.



Una delle reliquie più preziose della cristianità sono i Sacri Chiodi che perforarono le membra di Gesù durante la sua terribile Passione. 
La storia dei Sacri Chiodi inizia quando Santa Elena nel viaggio di ritorno dalla Terra Santa decide di portare con sé questa reliquia che assieme alla Santa Croce furono trovate sul Golgota. 
La tradizione vuole che i chiodi fossero 4 e che uno di essi sarebbe stato gettato in mare nel viaggio di ritorno per placare i marosi.  
Nei Vangeli ritroviamo il momento della comparsa di questa reliquia quando San Giovanni scrive (Giovanni, 19, 17-18) “Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.”. 
Corona ferrea d'Italia già di Costantino 

Così i Sacri Chiodi furono portati a Roma dove uno venne fatto montare sulla corona ferrea di Costantino da Sant’Elena, uno fu fatto montare nel morso del cavallo di Costantino e gli altri due furono consegnati al Papa di cui uno è a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e l’altro fu consegnato a un vescovo franco che avrebbe dovuto portarlo al re francese alleato del Papa. 
Ma questo non arrivò mai a destinazione perché il prelato morì e quindi passò a un presbitero che viveva in Colle di Val d’Elsa questi consegnò il chiodo alla sua morte al vescovo della Diocesi il quale lo espose nella Cattedrale della sua città dove dal IX secolo è ivi venerato come autentico. 
Accanto a questo vi è quello custodito nel Duomo di Milano esso è conservato esattamente sospeso in aria in un reliquiario posto a 42 metri di altezza e lo si può vedere con molta difficoltà ma la sua presenza è identificata da un reliquiario in bronzo a forma di croce ai cui lati vi sono due angeli e una luce perpetua posta a devozione. 
Il Sacro Morso

Per arrivarvi e per esporla alla pubblica venerazione nel seicento fu progettato un argano speciale a forma di nuvola dove 12 uomini attraverso un sistema di funi facevano scendere ed ascendere lo stesso reliquiario. 
Ancora oggi questo marchingegno viene usato sebbene sia stato modernizzato da un sistema di argani idraulici elettrici, il Sacro Morso viene posto alla pubblica venerazione il 14 settembre giorno che la Chiesa celebra la solennità dell’Esaltazione della Santa Croce. 
Questa reliquia sarebbe stata data in dono a sant’Ambrogio direttamente dalle mani dell’imperatore Teodosio, questo secondo fonti rivenienti dai cartigli dell’archivio della Cattedrale di Santa Tecla dove era custodito. 
Con la demolizione della basilica e con la costruzione del Duomo attuale il Sacro Morso è ivi custodito dal 1461. 
Altare in Colle Val d'Elsa dove
 e' custodito il Sacro Chiodo

Il Sacro Morso pesa 700 grammi ed è lungo circa 30 cm. L’ultimo Chiodo Santo si trova nella corona ferrea che cingeva il capo di Costantino con cui venivano incoronati dapprima  gli imperatori del Sacro Romano Impero e poi ininterrottamente dall’Alto Medioevo sino al novecento con questo diadema furono incoronati i Re d’Italia. 
Si narra che la lamina della corona interna fosse stata liquefatta e creata la base del diadema ma invero da una analisi fatta nel 1993 su tale lamina è risultata essere in argento e non in ferro. La corona fu rimaneggiata dopo un furto avvenuto tra il 1200/1300  di alcune placche, comunque di fronte a questa corona hanno pregato anche santi del calibro di San Carlo Borromeo il quale si basava a sua volta sulle indiscrezioni rese in sede di orazione funebre all’imperatore da parte di Sant’Ambrogio che aveva ricevuto da Teodosio il Sacro Morso e la Corona. 
Sacro Chiodo conservato nella Basilica 
di Santa Croce in Gerusalemme in Roma

 Anche se storicamente la corona sia appartenuta a Costantino nulla ci indica la presenza del chiodo romano, infatti secondo molti col Chiodo Santo erano stati forgiati gli archetti che tenevano la corona all’elmo del sovrano. 

Quando poi salì al trono dell’impero romano d’occidente re Teodorico, i bizantini per non rendere al barbaro una tale reliquia gli consegnarono solo la corona mantenendosi l’elmo, il quale fu collocato sull’altare della Basilica di Santa Sofia in Costantinopoli. Poi a seguito della crociata veneziana del 1204 se ne persero le tracce. 
A cura di Sisto Massimiliano.

domenica 23 settembre 2018

Un santo dei nostri giorni: Padre Pio da Pietrelcina.



Quando morì, il 23 settembre 1968, a 81 anni, le stimmate scomparvero dal suo corpo e, davanti alle circa centomila persone venute da ogni dove ai suoi funerali ha inizio quel processo di santificazione che ben prima che la Chiesa lo elevasse alla gloria degli altari lo colloca nella devozione dei fedeli di tutto il mondo come uno dei santi più amati del secolo scorso. 

Francesco Forgione era nato a Pietrelcina, in provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. I suoi genitori, Grazio e Giuseppa, erano poveri contadini, ma assai devoti: in famiglia il rosario si pregava ogni sera in casa tutti insieme, in un clima di grande e filiale fiducia in Dio e nella Madonna. 

Il soprannaturale irrompe assai presto nella vita del futuro santo: fin da bambino egli riceveva visite frequenti di Gesù e Maria, vedeva demoni e angeli, ma poiché pensava che tutti avessero queste facoltà non ne faceva parola con nessuno. Il 22 gennaio 1903, a sedici anni, entra in convento e da francescano cappuccino prendendo il nome di fra Pio da Pietrelcina. 

Diventa sacerdote sette anni dopo, il 10 agosto 1910, vuole partire missionario per terre lontane, ma Dio ha su di lui altri disegni, specialissimi. 
I primi anni di sacerdozio sono compromessi e resi amari dalle sue pessime condizioni di salute, tanto che i superiori lo rimandano più volte a Pietrelcina, nella casa paterna, dove il clima gli è più congeniale. Padre Pio è malato assai gravemente ai polmoni. 

I medici gli danno poco da vivere. Come se non bastasse, alla malattia si vanno ad aggiungere le terribili vessazioni a cui il demonio lo sottopone, che non lasceranno mai in pace, il povero frate è torturato nel corpo e nello spirito. 
Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale.

 Un numero incalcolabile di uomini e donne, dal Gargano e da altre parti dell’Italia, cominciano ad accorrere al suo confessionale, dove egli trascorre anche quattordici-sedici ore al giorno, per lavare i peccati e ricondurre le anime a Dio. È il suo ministero, che attinge la propria forza nella preghiera e nell’altare, e che realizza non senza grandi sofferenze fisiche e morali. 

Il 20 settembre 1918, infatti, il cappuccino riceve le stimmate della Passione di Cristo che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni. Padre Pio viene visitato da un gran numero di medici, subendo incomprensioni e calunnie per le quali deve sottostare a infamanti ispezioni canoniche; il frate delle stimmate si dichiara “figlio dell’obbedienza” e sopporta tutto con serafica pazienza. Infine, viene anche sospeso a divinis e solo dopo diversi anni, prosciolto dalle accuse calunniose potendo essere reintegrato così reintegrato nel suo ministero sacerdotale. 

La sua celletta, la numero 5, portava appeso alla porta un cartello con una celebre frase di S. Bernardo: “Maria è tutta la ragione della mia speranza”. Maria è il segreto della grandezza di Padre Pio, il segreto della sua santità. A Lei, nel maggio 1956, dedica la “Casa Sollievo della Sofferenza”, una delle strutture sanitarie oggi più qualificate a livello nazionale e internazionale, con 70.000 ricoveri l’anno, attrezzature modernissime e collegamenti con i principali istituti di ricerca nel mondo. 

Negli anni ‘40, per combattere con l’arma della preghiera la tremenda realtà della seconda guerra mondiale, Padre Pio diede avvio ai Gruppi di Preghiera, una delle realtà ecclesiali più diffuse attualmente nel mondo, con oltre duecentomila devoti sparsi in tutta la terra. Con la “Casa Sollievo della Sofferenza” essi costituiscono la sua eredità spirituale, il segno di una vita tutta dedicata alla preghiera e contrassegnata da una devozione ardente alla Vergine. 

Da Lei il frate si sentiva protetto nella sua lotta quotidiana contro demonio, il “cosaccio” come lo chiamava, e per ben due volte la Vergine lo guarisce miracolosamente, nel 1911 e nel 1959. In quest’ultimo caso i medici lo avevano dato proprio per spacciato quando, dopo l’arrivo della Madonna pellegrina di Fatima a San Giovanni Rotondo, il 6 agosto 1959, Padre Pio fu risanato improvvisamente, tra lo stupore e la gioia dei suoi devoti. 

“Esiste una scorciatoia per il Paradiso?”, gli fu domandato una volta. “Sì”, lui rispose, “è la Madonna”. “Essa – diceva il frate di Pietrelcina – è il mare attraverso cui si raggiungono i lidi degli splendori eterni”. Esortava sempre i suoi figli spirituali a pregare il Rosario e a imitare la Madonna nelle sue virtù quotidiane quali l’umiltà, la pazienza, il silenzio, la purezza, la carità. “Vorrei avere una voce così forte - diceva - per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna”. 

Lui stesso aveva sempre la corona del rosario in mano. Lo recitava incessantemente per intero, soprattutto nelle ore notturne. “Questa preghiera – diceva Padre Pio – è la nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l’esplosione della nostra carità”. 

Il suo testamento spirituale, alla fine della sua vita, fu: “Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario”. 
Intorno alla sua figura in questi anni si sono scritti molti fiumi di inchiostro. Un incalcolabile numero di articoli e tantissimi libri; si conta che approssimativamente sono più di 200 le biografie a lui dedicate soltanto in italiano. “Farò più rumore da morto che da vivo”, aveva pronosticato lui con la sua solita arguzia. 



Quella di Padre Pio è veramente una “clientela” mondiale. Perché tanta devozione per questo san Francesco del sud? 
Padre Raniero Cantalamessa lo spiega così: “Se tutto il mondo corre dietro a Padre Pio – come un giorno correva dietro a Francesco d’Assisi - è perché intuisce vagamente che non sarà la tecnica con tutte le sue risorse, né la scienza con tutte le sue promesse a salvarci, ma solo la santità. Che è poi come dire l’amore”.
Nella notta tra il 22 e il 23 settembre del 1968 nella cella n. 1 del Convento di Monte Gargano dei frati Cappuccini del Santuario di Santa Maria delle Grazie spirò il reverendo Padre Pio lasciando i suoi figli orfani.
A cura di Sisto Massimiliano.

Le reliquie della Passione tra storia e fede: il Sacro Catino.



Il Sacro Catino è il piatto dove Gesù consumò l’ultima cena e secondo alcuni esso è da considerarsi il vero Santo Graal. 
Nei Vangeli la cronaca dell’ultima cena  è parallelamente simile, San Matteo (Matteo 26,20-30) “Quando fu sera, si mise a tavola con i dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità vi dico: Uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono a dirgli uno dopo l'altro: «Sono forse io, Signore?» Ma egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell'uomo se non fosse mai nato». E Giuda, il traditore, prese a dire: «Sono forse io, Rabbì?» E Gesù a lui: «Lo hai detto». Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».” 
Il Sacro catino raggiunse Genova dove ancora oggi è custodito nel Tesoro della Basilica di San Lorenzo sino dal termine della Prima Crociata portato in occidente ad opera di Guglielmo Embriaco.
 Il catino è un vaso esagonale di materiale trasparente verde brillante. Nel tempo in cui venne portato a Genova si credette che fosse di smeraldo. 

Il Sacro Catino finì in frantumi durante la sua permanenza in Francia e fu oggetto di vari restauri: il primo nel 1908, nel 1951, e infine nel 2017. 
Lo studio dell'oggetto realizzato durante il periodo di presenza in Francia da parte dell'Académie des sciences dell'Institut de France stabilì che si trattava di cristallo bizantino e non di smeraldo. 
Gli studi seguenti avrebbero postdatato l'opera ritenendola un manufatto islamico del IX-X secolo.

A cura di Sisto Massimiliano

giovedì 20 settembre 2018

La nave del riscatto italiano: l'Andrea Doria.


Il transatlantico Andra Doria fu varato il 16 giugno 1951 e rappresentava il fiore all'occhiello della marineria civile italiana, infatti fu la prima nave di lusso ad essere costruita dai cantieri navali Ansaldo di Genova dopo la fine della seconda guerra mondiale.

L'Andrea Doria fece il suo viaggio inaugurale il 14 gennaio del 1953 e misurava circa 213.59 metri di lunghezza e 27.40 m di larghezza aveva una stazza di circa 29950 tonnellate e una propulsione a turbine a vapore legate a due eliche che le permettevano una velocità di crociera di 23 nodi, poteva portare circa 1241 passeggeri divisi tra prima, seconda e terza classe.

Il 25 luglio del 1956 navigava alla volta di New York, al comando del transatlantico vi era il Comandante Superiore Piero Calamai e contemporaneamente una nave mercantile svedese, la Stockholm,  incrociava quelle acque, al suo comando vi era il terzo ufficiale di coperta Johan Ernst Carsterns Johannensen.

Alle 23.15 le due navi entrarono in un corridoio alquanto affollato, e a ciò si aggiunse la presenza di grossi banchi di nebbia che impedivano la visuale, così si navigava a vista usando i fischi obbligatori, che come appurato successivamente erano regolarmente emessi dalla nave italiana diversamente taciuti da quella svedese.


L'impatto fu violento, la carena dell'Andrea Doria fu squarciata dalla prua rinforzata del mercantile per circa 12 metri tanto che iniziò ad imbarcare acqua, le paratie stagne non funzionarono e la nave si inclinò di circa 20°e solo allora il Comandante Calamai decise di dare l'ordine di abbandono nave.

Soccorsero i naufraghi la Ile de France e due mercantili Cape Ann e la Thomas oltre che la Stockholm, vennero salvati tutti i passeggeri eccezione fatta per i 46 morti dovuti all'impatto con il mercantile. Il numero di vittime limitato, solo quelli dovuti all'impatto, fu grazie agli ordini ben dettagliati del Comandante Calamai e soprattutto dell'Equipaggio del bastimento transoceanico che tra l'altro riuscirono a mantenere l'elettricità a bordo sino all'inabissamento, infatti la nave si inabissò accesa.

Dopo il salvataggio di tutti i passeggeri il comandante Calamai restò a bordo dell'Andra Doria rifiutando di lasciare la nave, fu costretto dai suoi ufficiali che tornarono indietro a prenderlo.

A cura di Sisto Massimiliano.

mercoledì 19 settembre 2018

Storia di una nave di lusso: il RMS Titanic.



Il Titanic fu il secondo delle tre navi oceaniche volute dalla White Star Line e realizzati dai cantieri navali della Harland and Wolff di Brest, con le altre due navi Brittanic e la RMS Olympic doveva competere con le avversarie della Cunanrd Line Lusitania e Mauretania.




Il Titanic oltre a svolgere attività di trasporto persone aveva anche il compito di trasportare merci e quindi posta da qui come per l'Olympic il prefisso RMS (Royal Mail Ship) erano le navi più lussuose che sino ad allora avrebbero solcato gli oceani.

La costruzione della nave iniziò il 31/03/1909 e lo

scafo del piroscafo fu varato il 31/05/1911 ultimando le sovrastrutture un anno dopo il 31/003/1920, la sua stazza era di circa 46328 tonnellate e l'altezza del ponte dalla linea di galleggiamento era di circa 18 metri, poteva navigare ad una velocità massima di 24 nodi (circa 44 km all'ora) sfruttando una forza trainante di circa 16000 cavalli, lo scafo misurava 268,83 metri, una larghezza di 28 metri e un'altezza di 53,3[ metri con un pescaggio di 18 metri aveva circa 29 caldaie con 3 comignoli di cui uno funzionava e gli altri erano prese d'aria per sviluppare la combustione.

Poteva trasportare circa 3547 persone. Il lusso lo si poteva toccare con mano nelle vaste aree recettizie sviluppate con l'idea del confort e del lusso più totale, il costo di costruzione della nave rapportato ai nostri controvalori si aggirerebbe intorno ai 167 milioni di dollari e il viaggio in prima classe intorno ai tremila e cento dollari.

Il Titanic salpò una sola e unica volta il 10 aprile del 1912 da Southampton, al comando del transatlantico il Comandante Edward John Smith al suo ultimo comando dopo una brillante carriera di circa 40 anni di navigazione.

Alle 13.30 del 14 aprile giunse un messaggio al marconista del Titanic in cui la nave gemella Brittanic allertava il comandante del vapore che sulla loro rotta erano stati avvistati dei ghiacci, il comandante noncurante del messaggio non ridusse la velocità perché voleva mantenere la velocità di crociera sui 20 nodi per vedersi consegnare l'onorificenza del Nastro Azzurro.

Subito dopo da altri vapori nella zona inviarono al transatlantico altri due dispacci nel giro di circa un quarto d'ora, ma nessuno di questi fu recapitato sul ponte di comando, perché i marconisti erano impegnati a inviare i messaggi dei passeggeri che si erano accumulati a causa di un guasto.

Alle 21.00 il comandante ordinò al suo sottoposto Linghtoller di mantenere la rotta, scendere di qualche nodo in caso di foschia e di andarlo a destare nel qual caso vi fosse stato qualcosa di grave.

Alle 22.00 ci fu un nuovo cambio di consegne tra Linghtoller a favore del primo ufficiale di bordo Murdoch al quale venne consegnato un dispaccio dalla nave Rappahannock, che incrociò il Titanic nel quale recitava che era appena uscita da una banchisa di iceberg.

Alle 23.00 la nave da carico Californian inviava al Titanic un nuovo dispaccio in cui lo avvertiva che stava andando in rotta di collisione con un grosso iceberg che si trovava sulla sua rotta, altresì descrivendo che essa stessa era stata costretta a fermarsi per non colare a picco, questo dispaccio non arrivò mai in plancia di comando.

Alle 23.40 un grosso iceberg viene avvistato di fronte al Titanic, l'avvistamento avvenne a vista, quindi in ritardo per fermare le macchine e ordinare l'indietro tutta, vista anche la sostenuta velocità del vapore. L'impatto fu inevitabile e la montagna di ghiaccio collassò a tribordo squarciando di fatto la parte di destra del transatlantico.

Su ordine del comandante furono chiuse le paratie stagne, che avrebbero permesso comunque il galleggiamento del bastimento, ma purtroppo lo squarcio e i morti che si ebbero nel vano caldaie n. 6 oltre che ai morti dell'equipaggio ivi di stanza portò a che le pompe idrovore non lavorassero a pieno regime.

Fu così dato l'ordine di abbandono nave, in quanto il vapore si sarebbe inabissato in circa una ora e mezzo da quel momento.



La prima lancia fu calata alle 00:40 dal lato destro con sole 28 persone a bordo; poco dopo ne fu calata una con solo 12 persone, sebbene le loro capacità fossero di 65 passeggeri. Sprecando tre quinti dei posti disponibili, molte delle lance vennero calate in mare mezze vuote. 

Due ore dopo l'impatto restavano a bordo circa 1500 persone e il ponte già stava affondando avendo imbarcato la nave circa 25 milione di litri d'acqua. Intanto l'orchestra continuò a suonare fino a quando non ci fu l'inabissamento dell'intero bastimento e l'ultimo brano fu quello di un inno cristiano. Tutti i musicisti morirono.

Alle 2.20 il Titanic affondò dopo essersi spezzato in due.

A cura di Sisto Massimiliano.