venerdì 30 novembre 2018

"La fontana del Villaggio": la Chiéseie noeve". La storia.



Molfetta nella seconda metà dell’ottocento era tra le 20 città del Mezzogiorno ad avere una popolazione superiore alle 20.000 unità non contando i borghi che gravitavano intorno alla città, quindi il fabbisogno di acqua a scopi civili e sanitari aumentò. Le autorità ecclesiastiche ben previdero questo problema e per questo Mons. Costantini sentendo la necessità di dover offrire servizi spirituali per curare le anime del nuovo quartiere che si era sviluppato oltre il Rione Annunziata, decise di inviare il 13 dicembre del 1845 con una lettera indirizzata al Re e al Ministero degli Affari ecclesiastici del Regno in cui chiedeva dei finanziamenti per la costruzione di una nuova chiesa: quella che nella dizione comune poi verrà chiamata Chiesa Nuova.

Sapendo le lungaggini burocratiche il prelato si rivolse alla Confraternita dell’Immacolata che aveva l’uso di una cappella nella chiesa di San Bernardino per zelare il proprio culto, e in quegli anni, tra l’altro, era in controversia con la confraternita del Monte di Pietà proprio sull’uso degli spazi comuni della Chiesa.

Pertanto essendo questo sodalizio una delle confraternite più ricche della città, non avendo un proprio luogo di culto, il vescovo propose a questi di sobbarcarsi l’onere della costruzione della chiesa, ma i sodali invero erano molto più interessati alla costruzione della Cappella nel nuovo cimitero più che a sobbarcarsi l’onere della costruzione di un nuovo istituto sacro.

Così il Vescovo fece recapitare una missiva al padre spirituale della confraternita in cui spiegava i costi che si sarebbe dovuto sobbarcare il sodalizio per la costruzione del nuovo tempio ovvero circa 4000 ducati esclusi gli onorari e si richiedeva quindi l’investimento della rendita annua dei 341 ducati che la confraternita aveva derivanti da lasciti e legati oltre che alla richiesta di un prestito alla Cassa Provinciale degli Ospizi mutuando i propri beni in proprietà, arrivando persino a supporre che il sodalizio chiedesse un prestito al Monte di Pietà locale.

Fatto resta che la confraternita non volle sobbarcarsi questo onere, ma intervenne un fatto nuovo, infatti l’8 dicembre del 1854 Papa Pio IX emanò nella Bolla Ineffabilis Deus la definizione del dogma dell’Immacolata. Intanto successe alla guida della sede vescovile molfettese Mons. Nicola Maria Guida che forte della Bolla pontificia inviò una nuova istanza al Re di Napoli datata 22 giugno del 1855 chiedendo di edificare in Molfetta una nuova chiesa sotto il titolo di Immacolata Concezione.

Il presule non demorse e senza mezzi termini, e con un nuovo fitto carteggio il 30 marzo del 1859, rivolto al Re chiese di stornare dai fondi che annualmente inviava per la costruzione e per l’ampliamento del porto una somma da destinarsi alla costruzione della nuova fabbrica sino al suo totale completamento pari a 16.000 ducati, questo invito fu accolto dal sovrano: egli stabilì il 14 aprile del 1859 che ogni anno venissero stornati 3000 ducati in conto dei 16.000 richiesti dal pio vescovo sino a concorrenza per la costruzione del tempio sacro.

Così il Vescovo nel mese di settembre dello stesso anno espresse la volontà di assegnare il progetto della edificazione della chiesa dell’Immacolata all’ingegnere Corrado de Judicibus e il 22 maggio del 1860 l’Intendente di Bari facendo seguito agli accordi precedentemente siglati col re di Napoli chiese a chi fosse intestato l’assegno per la gestione dei fondi annui da impiegare nella costruzione del tempio; il prelato fece allora il nome di Stefano Salvemini nominato cassiere della gestione dei fondi necessitanti e pubblici per la costruzione del tempio e nel mese successivo venne a costituirsi il comitato esecutivo presieduto dal vescovo il cui coordinatore fu proprio l’ing. De Judicibus.

Intanto i capovolgimenti politici legati all’annessione col regno di Sardegna e la creazione del regno di Italia portano non pochi problemi per la costruzione della chiesa con diverse battute d’arresto a seguito della estensione della legislatura anticlericale sabauda partita nei territori del regno piemontese già a partire dal 1855 con la legge n. 878  estesa dal Parlamento italiano a tutto il territorio del regno con la legge n 3848 del 1867, in attuazione delle prescrizioni contenute nel regio decreto n. 3036 del 1866 che prevedeva di fatto l’abolizione degli ordini monastici e l’incameramento da parte dello stato dei conventi, rendite e chiese presenti sul territorio italiano impose anche per l’erigenda chiesa un arresto significativo.

Intanto alla guida della Diocesi fu nominato Mons. Gaetano Rossini sostituendo Mons. Guida spostato ad altra diocesi. Così si riaprì la necessità di trovare i fondi per il completamento della chiesa tali da attivare una gara di solidarietà tanto che il Salvemini, già cassiere dell’opera, acquistò il suolo della chiesa, l’ing. De Judicibus chiese di compenso solo 100 ducati per portare a termine l’opera.

Intanto il quartiere si ingrandiva e il numero di fedeli si attestava attorno alle 18.000 unità e la chiesa di San Gennaro non poteva provvedere più alle sue funzioni pertanto bisognava valutare la possibilità di istituire una nuova parrocchia. Così nel 1874 il 29 febbraio la deputazione per la costruzione della chiesa prende importanti decisioni: l’ubicazione fu decisa presso piazza immacolata sui terreni all’uopo acquistati dal Salvemini; fu ufficializzato l’incarico all’ing. Corrado de Judicibus che scelse quale impresa esecutrice dei lavori Benedetto Pansini fu Nicola e Vincenzo Cappelluti di Francesco determinando che i lavori non sono appaltati a corpo con contratto unico ma in base alle disponibilità finanziarie che di volta in volta si sarebbero trovate.

Così il vescovo stabilì che la benedizione della prima pietra avvenisse l’8 dicembre dello stesso anno edificando la chiesa sotto il titolo di Immacolata Concezione e Sacro Cuore di Gesù, titolo quest’ultimo che poi cadde in obblio. L’8 dicembre secondo le prescrizioni del Pontificale Romano dopo la celebrazione eucaristica avvenuta nella chiesa di san Gennaro il Vescovo col capitolo si reco’ in processione sino al luogo prescelto impiantando una croce di legno ove sarebbe sorto l’altare maggiore benedicendo l’opera.

La costruzione del sacro edificio poi, proseguì a ritmi lenti a seguito delle donazioni di materiale e di denaro che dai cittadini e dai notabili molfettesi erano versati per rendere fattiva l’opera e portarla a compimento. Ma tra il 1879 e il 1885 la fabbrica della chiesa ebbe una accelerazione e ciò fu dovuto essenzialmente alla buona congiuntura economica cittadina che trainata dall’apertura di opifici, cementerie e grazie allo sviluppo della cantieristica cittadina che offrirono ampie possibilità di introiti anche dai ceti più poveri della popolazione che contribuirono alla costruzione della chiesa attraverso piccole e copiose oblazioni.

Tra il 1883 e la fine del 1892 i lavori furono alacri tanto che si attuarono la realizzazione delle caritorie della volta maggiore per l’incanalamento delle acque di prima pioggia, e poi si passò agli intonaci, agli stucchi interni la chiesa; nel 1886 fu la volta della realizzazione del finestrone sulla porta maggiore, nel 1891 venne commissionato il quadro che campeggia sull’altare maggiore e il cappuccino Padre Vitangelo de Cesare rimontò e accordò l’organo che era della ormai distrutta chiesa di San Francesco oggi mercato ittico, infine il 09 novembre del 1892 si ebbe la chiusura delle volte del sacro edificio.


La chiesa fu aperta al culto ed al pubblico attraverso una solenne celebrazione e benedizione, già dal settembre del 1892, operata da don Nicola Samarelli primo sacerdote e rettore della nuova chiesa oltre che da Monsignor Pasquale Corrado nuovo vescovo di Molfetta e subito questi si adoperò presso la Curia Romana per lo smembramento della parrocchia di San Gennaro, l’elezione a parrocchia della Chiesa dell’Immacolata oltre che per il riconoscimento da parte delle autorità civili della stessa così come avvenne il 24 novembre del 1894 si ebbe la costituzione della parrocchia avendo ricevuto tutti i pareri favorevoli delle autorità civili e religiose.

Mons. Pasquale Corrado allora nominò con la bolla vescovile del 04 novembre del 1894 parroco della nuova chiesa, in modo ufficiale, don Nicola Samarelli. Ultimo atto restava la consacrazione. Moriva il vescovo Corrado e gli succedeva Mons. Pasquale Picone che il 29 settembre del 1896 consacrò la chiesa ponendo sotto l’altare maggiore le particole delle reliquie dei santi Fruttuoso e Gaudenzio, Teresa, Corrado e Paolo.

La chiesa presenta una facciata Neoclassica e all’interno si possono individuare gli stili barocco e gotico fusi assieme secondo l’idea del tempo legata per lo più all’ecclettismo. Essa presenta a 3 navate in cui oltre l’altare maggiore dedicato alla Beata Vergine Immacolata si aprono ben otto cappelline entrando a destra si possono ammirare la Cappella del Battistero, la Cappella di San Raffaele, la Cappella del Crocefisso e una Cappella che raccoglieva varie reliquie ed immagini dei protettori della città oggi la cappella è dedicata alla Madonna dei Martiri, la Cappella della Madonna di Pompei, e l’altare con l’immagine lignea della Vergine Lourdes. Arricchiscono il tesoro spirituale della chiesa la presenza di varie opere d’arte lignee donate o commissionate a ridosso dei primi anni di costruzione del tempio ovvero quella dello Sposalizio della Vergine Maria, il Sacro Cuore, San Pasquale Baylonne e la Beata Vergine del Parto.

Nel 1916 comparve un libretto con le pie pratiche svolte nella chiesa tra cui il pio esercizio del Manto della Beata Vergine Immacolata sebbene la novena fosse uguale a quella che si pratica nella Chiesa di San Bernardino; la pratica della Novena e del culto alla Beata Vergine di Lourdes la cui associazione nata nel 1902 fu aggregata all’Arciconfraternita della Madonna di Lourdes operante nella Basilica francese; il pio esercizio alla Beata Vergine Addolorata similare nel settenario alle altre parrocchie ma qui legata a una pia pratica dedicata a Maria Desolata con i sette momenti salienti la Passione e Morte di Gesù; la novena alla Madonna dei Martiri; la novena per lo Sposalizio di Maria la cui ricorrenza liturgica cade il 23 gennaio; la devozione alla Madonna di Pompei quale regina delle Vittorie nel mese di maggio e poi ad ottobre; di particolare importanza era la novena alla Madonna del Parto da tenersi nei mesi di ottobre e di dicembre di ogni anno, il culto e la devozione erano così forti che don Giuseppe Gagliardi Gadaleta fece erigere un altare dedicato sulla sinistra dell’altare maggiore, tale culto scomparve negli anni trenta del novecento non riuscendo a mantenere la concorrenza con quello più popolare di Sant’Anna zelato nella Rettoria della Santissima Trinità.

A cura di Massimiliano Sisto
Foto di Gianluca de Ruvo
Con la partecipazione di Giacomo Ciccolella.







mercoledì 21 novembre 2018

L'immagine di Santa Rita torna in venerazione dopo un accurato restauro.


Nella giornata di sabato 24 novembre alle ore 10.00 nella chiesa di Santa Maria la Porta a cura della Pia Associazione Santa Rita di Bitonto verrà celebrata una  Celebrazione Eucaristica per accogliere la venerata immagine di Santa Rita da Cascia che dopo un accurato restauro e una adeguata ripulitura è stata riportata agli antichi splendori.


L'immagine sarà esposta alla pubblica venerazione in modo straordinario per tutto il giorno del 24, nel pomeriggio inoltre è prevista la recita della Coroncina di Santa Rita alle ore 18.30 a conclusione della giornata di giubilo del sodalizio.



L'immagine appartiene alla categoria delle "immagini vestite", lignea, di pregevole fattura, fu acquistata a Bari dal commerciante Guerra a spese e a cura delle Figlie della Carità  impegnate nella Farmacia dell'Immacolata.

Il culto della "santa degli impossibili" nella chiesa di Santa Maria la Porta risale sin dai primi del secolo XIX come lo attesta tra l'altro uno speciale patrocinio che veniva concesso al culto della taumaturga in detto luogo con il viatico papale di Leone XIII del 1892 riconfermato poi dall'allora vescovo Pasquale Berardi.


A cura di Sisto Massimiliano.

lunedì 19 novembre 2018

I negozi storici molfettesi ormai chiusi: ricordi.



Domenica sera, fine serata e quattro passi con un mio amico per raggiungere l’auto che mi riporterà a casa, quando nella nostra passeggiata decidiamo di fare un giro più lungo sebbene faccia freddo ma comunque la serata permette.
 Decidiamo quindi di salire corso Margherita e qui iniziano i ricordi di due ragazzi sulla quarantina ormai uomini. Tra le vetrine serrate e le saracinesche chiuse si leggono ormai solo i locasi e i vendesi e da questa amara osservazione, risalendo lentamente vediamo che immediatamente dopo la Cappellina de Candia si vede la vetrina a rilievo di quello che fu uno dei migliori negozi di dischi della città ovvero quello DUEG ormai chiuso da anni dove campeggiano solo due neon che erano la base dell’insegna che non si accenderà mai più; il nostro giro continua e tra una chiacchiera ed un’altra ecco che vediamo i locali dove era Linea Uomo o Ancri il negozio di giocattoli che vendeva le biciclette, anche essi chiusi e ci ricordiamo di quanto fossero in concorrenza i commercianti di Corso Margherita con quelli di Corso Umberto che sino agli anni ottanta avevano il doppio senso di marcia e la gente affollava i marciapiedi. 
Decidiamo di svoltare su via Rattazzi e qui rapidamente arriviamo in Piazza Principe di Napoli dove ci ricordiamo della Piazza Centrale con tanto di tettoia, dove le nostre madri e nonne ci dicevano quando ci mandavano a “fare i servizi” di evitare di acquistare da quella piazza il pesce perché era più costoso di qualche cinquecento lire rispetto alla più grande e più popolare Piazza Paradiso, scendendo poi incrociamo lo sguardo con un incrocio che immette alla strada parallela Corso Umberto in cui vi era il negozio più fornito di giochi per bambini di Molfetta “Parco Bimbi”, chi di noi nella vetrina che immetteva sulla piazza non si è fermato un attimo a vedere il trenino elettrico che era montato sulla pista che girava in continuazione o quella famosa costruzione con i pupazzetti che erano fatti in plastica o ancora le macchinine microscopiche? 

La passeggiata continua e andiamo su Corso Umberto e qui ci ricordiamo di negozi storici ormai scomparsi come Regina o come Laura Pansini. Scendendo incrociamo via Respa e subito decidiamo di percorrerla e immediatamente dopo l’allargamento della stessa il nostro sguardo non può che non andare alla prima vetrina sulla destra ovvero quella che fu di Top Ten. 
Scendiamo quindi le scale che costeggiano l’ex sede centrale della Banca Cattolica e arrivati giù ci ricordiamo della esistenza di altri negozi storici non più esistenti come Mimì Dell’Olio che vendeva scarpe, Todaro all’angolo di Piazza di Garibaldi e il mitico Capozzi. Così mesti, ma rincuorati dai ricordi affiorati in questa serata autunnale ci apprestiamo a salire sull’auto che ci riporterà a casa.

A cura di Sisto Massimiliano.

domenica 4 novembre 2018

La tragedia del Francesco Padre nel cuore dei molfettesi.



Nella notte tra il 4 e 5 novembre del 1994 colò a picco nelle acque internazionali ricche di pesci uno dei nostri natanti appartenenti alla flotta peschereccia cittadina. 

Le cause contrastanti furono o colpi di arma di fuoco contro il motopeschereccio da parte di montenegrini aditi a chiedere il pizzo per poter pescare in quelle acque o da colpi derivanti “dal fuoco amico” a causa della guerra che in quel momento storico imperversava o ancora una colpa ancor più sconcertante ovvero l’avere a bordo armi di contrabbando che sarebbero esplose involontariamente.

Quale sia la verità tra queste ipotesi? Ancora i posteri non hanno avuto alcuna certezza, sicuro che il luogo ove riposano questi nostri concittadini è il mare che è diventata la loro tomba. 

Facevano parte dell’equipaggio il comandante Giovanni Pansini e i marinai Luigi De Giglio, Saverio Gadaleta, Francesco Zaza e Mario De Nicolo che mai più hanno riabbracciato i loro cari familiari e che non hanno rivisto la loro amata città.

Onore ai nostri marinai.
A cura di Sisto Massimiliano

Il pianto di una madre: la scelta del Milite Ignoto.



Nel giorno del IV Novembre sino a qualche decennio fa si festeggiava la vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, essa era una ricorrenza civile molto sentita perche’ da poco una intera generazione di giovani, il cuore vivo dell’Italia, si era spenta per la miopia dei governanti del tempo. 
Proprio per celebrare quei valorosi uomini il 28 ottobre del 1921 dalla Basilica di Aquileia partì il feretro del Milite Ignoto. 

Codello fu portato su un affusto di cannone con tutti gli onori civili e religiosi per essere poi depositato su un convoglio speciale che a passo d’uomo portò il Milite da Aquileia a Roma. 

La storia narra che la signora Maria Bergamas madre di un soldato italiano irredentista dovette scegliere tra ben 11 salme e che non avendo terminato la ricognizione delle stesse cadde in lacrime di fronte a quella tumulata sotto l'Altare della Patria in Roma gridando il nome del figlio Antonio.

Una volta arrivato a Roma, il feretro con tutti gli onori civili e militari fu trasportato nella Basilica di Santa Maria degli Angeli dove dopo la cerimonia funebre fu traslato dove si trova ancora oggi: nel sacello al di sotto dell'Altare della Patria. 

Grazie a tutti quegli uomini e donne che si sono immolati per l’Unità di Italia e per tutti quelli che anche successivamente hanno speso la vita per la nostra libertà oggi possiamo vivere la nostra democrazia e poter esprimere liberamente le nostre opinioni.
A cura di Sisto Massimiliano.

venerdì 2 novembre 2018

Commemorazione dei defunti: A livella Principe Antonio de Curtis





Ogn'anno,il due novembre,c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"


A cura di Sisto Massimiliano
Foto Giuseppe Roppo