mercoledì 26 febbraio 2020

Le Sacre Ceneri attraverso le parole di don Tonino.



DALLA TESTA AI PIEDI di don Tonino Bello.


Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.

Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.

Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all'acqua, più che alle parole. Non c'è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un "linguaggio a lunga conservazione".

È difficile, per esempio, sottrarsi all'urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un'autentica martellata quel richiamo all'unica cosa che conta: "Convertiti e credi al Vangelo". Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d'ulivo benedetti nell'ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all'impegno per la pace, all'accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello "shampoo alla cenere", comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell'acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l'abbiamo "udita con gli occhi", pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l'offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.

Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.

Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell'attesa di Cristo? "Una tantum" per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.

La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l'ardore, mettiamoci alla ricerca dell'acqua da versare... sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.

Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.

Un grande augurio.

A cura di Sisto Massimiliano

martedì 25 febbraio 2020

La Processione della Croce: l'inizio della Quaresima.



Ecco la mezzanotte, e, dopo i 33 rintocchi nel buio piu’ completo del Borgo medievale si apre la porta della Chiesa di Santa Maria Consolatrice degli Afflitti meglio nota come Purgatorio. 

Viene portata fuori dal sagrato della Chiesa una Croce, che servira’ dopo 5 settimane ad aprire i sacri cortei processionali della Vergine Addolorata e della processione della Pieta’. 

Tutto e’ pronto, si odono ancora i rintocchi del campanone della Cattedrale ed al penultimo di essi, ecco iniziare il mesto motivo che la bassa musica intona: il tite’ ossia u scrummè. 

Poi piano piano si fa spazio tra due ali di folla l’incedere della Croce coi confratelli incappucciati, dell’amministrazione e subito dopo il popolo. Il popolo dietro di essa intona il Vexilla Regis Prodeunt di Venanzio Fortunato. 

Inizia cosi' il giro della processione per le strade prima nel centro antico per andare verso la parte ottocentesca della nostra citta’.
Si ritorna nuovamente nel borgo passando tra le anguste vie cittadine che rimarcano i tragitti delle grandi processioni pasquali per poi fare sosta nella Chiesa di Santo Stefano, che per l’occasione è aperta e dove aspetta intronizzato il simulacro del Cristo Orante nell’Orto dei Getsemani con dinnanzi la Croce dei Misteri illuminata dalle candele e dal profumo di violacciocche che si espande dalla chiesa. 


Ecco, la sosta e’ terminata, quindi il popolo di Dio nel cuore della notte si dirige, costeggiando il Palazzo Vescovile, presso il Calvario dove il Padre Spirituale del venerabile sodalizio, che organizza questa pia pratica penitenziale, indica quelli che sono gli auspici spirituali che il tempo di Quaresima deve offrire al cuore di ognuno degli astanti e non solo; infine dopo qualche preghiera si conclude la processione ritirandosi dalla Chiesa dove era partita. 

Cosi’ si apre il nuovo giorno che ci immette nel Mercoledi’ delle Ceneri che altro non e’ che l’anticamera di cio’ che per i molfettesi e per i credenti vivranno con Settimana Santa.

A cura di Massimiliano Sisto.

giovedì 13 febbraio 2020

La Chiesa di Sant'Andrea Apostolo







Circa la sua prima edificazione la si data intorno al 1126 ad opera di alcuni cittadini amalfitani che erano impiantati qui a Molfetta in quanto commerciava con la loro città natale. 

Le vicissitudini storiche portarono a sconsacrare questo tempio per diverso periodo, sino a quando nel 1546 i fratelli Galieno decisero di ristrutturare questo tempio dedicandolo alla Visitazione della Beata Vergine Maria e all'apostolo Andrea. 
Nel 1652 fu acquistato un appartamento per poter erigere il Cappellone a Sant'Antonio, esso era ovviamente adiacente la chiesa e ne divenne parte integrante della stessa. In questa chiesa si venera il culto di Sant'Antonio da Padova a cura dell'omonima confraternita.

A cura di Sisto Massimiliano


Almanacco molfettese




Detti popolari.

"Acchià la drètte"

Traduzione:

"Trovare il rimedio, la via maestra"








Dillo alla molfettese

"acqu'à mérine"

Traduzione

acquamarina








Giuochi d'altri tempi.



"bòlle de sapòene"


Traduzione:


"Bolle di sapone" 





 
Grida degli ambulanti di un tempo.

"ué né cap'à d'agghie né sért'a d'agghie"

Traduzione

ohi, un bulbo d'aglio, una treccia d'aglio











Mestieri: Ardociale.

Orologiaio








martedì 11 febbraio 2020

Il Santuario del Santissimo Crocefisso meglio noto come la Chiesa dei Cappuccini



La chiesa e il convento furono costruiti per volere del Vescovo Maiorani il quale volle fare avvicinare la comunità dei frati piu' vicina alla città spostandoli da vicino al Pulo dove a tutt'oggi esiste ancora la fabbrica nel 1572.
 Nella chiesa si venera il Crocefisso ad altezza naturale in legno di scuola veneziana del XVI secolo e la relativa tela che fa da sfondo ad esso. Fu questa la donazione della famiglia Cucumazzo di Ruvo.
 In questa splendida chiesa si stagliano 6 cappelle: la Cappella di Santa Lucia, la Cappella della Madonna Immacolata, la Cappella di Sant'Antonio da Padova, la Cappella di San Nicola da Myra, la Cappella di San Francesco d'Assisi e la Cappella della Madonna del Rosario.

A cura di Sisto Massimiliano.


Almanacco Molfettese





Detti popolari.

"Acchessi facèvene l'endaieche!"

      Traduzione:

"Così facevano gli antichi!"
Per giustificare un modo di fare












Dillo alla molfettese.

"cetéiere"

Traduzione

acetoliera

portampolle per aceto ed olio








Giuochi d'altri tempi: "a re nòzzere".


Gioco con i noccioli di albicocche

Grida degli ambulanti di un tempo.
"conzasiaré, consasìegge"
Traduzione:
Riparatore di sedie









Mestieri: Ammelatòere.
L'arrotino.


Soprannomi molfettesi.
 
Ambiente agricolo: arvelìcchie - alberello.
Ambiente cittadino: abbattacàule - chi batte il sedere.
Ambiente marinaro: arabecìedde - vezzeggiativo di arabo




Liberamente tratto dagli scritti di Gerardo de Marco "Molfetta tra passato e presente" ed "Acquarelli molfettesi".

A cura di Sisto Massimiliano.